25 novembre 2014

di Madre in Figlia

Prendi tua figlia e insegnale lo splendore della disobbedienza.
E' rischioso, ma è più rischioso non farlo mai.
Sofocle, Antigone



Mamma è l'inizio della vita, la prima parola che imparo a pronunciare, spesso l'ultima che mi esce dalle labbra appena prima di morire; è l'energia che mi accompagna in questa esistenza e quella che mi aiuta a lasciarla. Un ponte fra due mondi, la guardiana alla porta che veglia su di me.
Madre è anche tutto quello che ci sta in mezzo: è accoglienza, dolcezza, un porto sicuro dove riparare durante la tempesta, è nutrimento, amore incondizionato e calore.
A volte madre è anche freddezza, distanza, disapprovazione, critiche, competizione e per alcune, violenza.
Di certo, per tutte, madre è il punto dal quale partire.
Prima cresco dentro di lei, la assorbo come fossi una spugna, sento il suo sentire, partecipo ai suoi pensieri, condivido le sue esperienze. Tremo per la sua paura, mi rimpicciolisco per la sua vergogna, mi rilasso nella sua accettazione, mi indigno per la sua rabbia, mi riprometto di essere all'altezza e di renderla felice e fiera di me.
Poi nasco e comincio il lungo viaggio che mi insegna ad essere me stessa.
Il lavoro di una vita quello di imparare chi sono io, e chi è, o era, lei.
Dove lei finisce e comincio io, dove io finisco e comincia lei.
Il lavoro di una vita, se l'ho perduta troppo presto, quello di recuperarla, conoscerla, immaginarla per ricomporre un puzzle, con i pezzi che mi appartengono, potendo riconoscere quali provengono da lei.
Il confine è invisibile e si sposta, a volte lo metto io sentendomi colpevole e ingrata, altre lo mette lei facendomi sentire di troppo o sbagliata. 
L'amore non è in discussione, i comportamenti si.
Nessuna madre è libera davvero di esprimere il suo amore così come lo sente, assolutamente immenso, del quale può sentirsi più o meno degna, più o meno capace, più o meno grata. Legata come un filo di perle alle altre madri prima di lei, alle nonne, alle bisnonne; alle eredità di famiglia, ai condizionamenti, ai dolori trasmessi come debiti.
Ogni madre, prima di diventare madre, è stata una figlia, una ragazza, una donna, una sorella, una fidanzata, una moglie, un'amica: ha sognato i suoi sogni, ha sperato, ha gioito, ha amato, ha sofferto.
Ogni figlia questo lo dimentica: guarda alla propria madre con gli occhi di una figlia, soppesando quello che ha ricevuto e come, quello che avrebbe desiderato, e come, quello che non ha avuto e che crede invece le spetti. E aspetta. Aspetta di riceverlo, anche mentre il tempo passa, la madre invecchia, i propri figli crescono. Aspetta il giorno in cui finalmente arriverà quel "brava", quel tanto atteso bacio, quel "come sei bella" o "sono fiera di te". Aspetta il giorno in cui la vedrà felice. E quando ancora non arriva, si convince che la madre non l'ama abbastanza, o che lei stessa non è degna di questo amore.
Ogni figlia ha un'idea su cosa sarebbe meglio che sua madre facesse o dicesse e su come potrebbe essere una madre migliore.
Così mi allontano, con rabbia o nostalgia, per prendere le distanze da quel Tutto da cui provengo, mi piaccia o no; vado alla ricerca di me stessa, per capire chi sono e quanto valgo senza di lei. Cammino, mi stanco, inciampo, mi rialzo, corro, divento amica a mia volta, fidanzata, moglie, professionista, madre magari di una femmina. Giungo fino al punto più lontano dell'elisse, in cui siamo due fuochi distinti, separati, indipendenti, ma sempre parte della stessa figura.
Da qui inizio il mio viaggio di ritorno; non necessariamente fisico, piuttosto interiore, verso mia madre. Non più la bambina che aspetta di ricevere dalla sorgente eterna, ma la donna che vede un'altra donna. Non più perfetta né tutta sbagliata, vera. Proprio come me.
E in quel preciso istante siamo libere. 

Barbara Monti





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